La maggior parte degli articoli sul diritto di recesso presenti in internet non analizza, purtroppo, le principali problematicità che possono toccare i siti di ecommerce.
Questo impedisce a molti merchant di comprendere i rischi di un'errata informativa sul diritto di recesso; e ingenera prassi caratterizzate da comportamenti illeciti.
Vogliamo dimostrarvi quanto sia facile per un sito internet trovarsi in una situazione illecita per quel che riguarda il diritto di recesso; immaginiamo un ipotetico sito di ecommerce che, in tema di diritto di recesso:
- Enfatizzi come il consumatore possa godere del diritto di recesso entro 14 giorni, parlando talvolta del diritto di recesso come di un diritto di “reso”.
- Venda prodotti alimentari di vario genere - tra cui cioccolato, carne e pesce -, non riconoscendo in relazione ad essi il diritto di recesso.
- Comunichi al consumatore l’esclusione del diritto di recesso solamente nelle Condizioni generali di vendita.
Ebbene, ciascuno dei tre comportamenti descritti configura una pratica commerciale scorretta. Non ci credete? Continuate a leggere! (Soprattutto se il vostro sito ecommerce opera in modo analogo).
Prima di tutto… cos’è il diritto di recesso?
Con questo termine, nella vendita online, s'intende il diritto del consumatore di sciogliere il contratto intercorso con il merchant; e ciò senza dover fornire alcuna motivazione ed entro un periodo di 14 giorni. Termine che, nella vendita di prodotti, decorre da quando il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dei beni. (Diversamente, nella vendita di servizi, il termine di 14 giorni decorre dal momento della conclusione del contratto).
Il recesso come diritto previsto dalla legge e sua differenza rispetto al “reso”
Il recesso è un diritto disciplinato dagli articoli 52 e ss. del Codice del Consumo.
Pertanto, il merchant non può indurre il consumatore a credere che il diritto di recesso sia una “concessione” del sito di ecommerce; il consumatore potrebbe essere indotto in errore riguardo ai propri diritti e spinto ad acquistare in forza di informazioni commerciali fuorvianti.
Un comportamento simile (far credere al consumatore che un suo diritto rappresenti una facoltà accordata dal sito di ecommerce) costituisce una pratica commerciale ingannevole.
Inoltre, nella comunicazione con il consumatore, bisogna fare attenzione a usare in modo appropriato i termini "diritto di recesso" e “reso”.
Definizione di "reso"
È corretto parlare di “reso” allorquando il merchant attribuisca al consumatore la facoltà di restituire il bene al verificarsi di situazioni diverse e ulteriori rispetto a quelle prese in considerazione dalle norme del codice del consumo sul diritto di recesso.
Ecco alcuni esempi di situazioni diverse e ulteriori rispetto a quelle contemplate dal codice di consumo:
- Il prodotto rientra tra quelli per i quali è escluso a priori il diritto di recesso (ad esempio, prodotti confezionati su misura).
- Il consumatore decide di restituire il prodotto oltre il termine di 14 giorni.
- Il prodotto restituito è stato rovinato o chiaramente utilizzato (come ad esempio un paio di scarpe), e non potrebbe più essere offerto nuovamente in vendita dal merchant.
Il diritto di reso non ha una fonte normativa tipica; il suo contenuto si determina volta per volta in base alle facoltà che il merchant intende attribuire ai clienti che vogliano restituire il prodotto.
Come abbiamo visto, il diritto di recesso può essere esercitato entro 14 giorni dalla consegna del prodotto. Quindi, un sito di ecommerce potrebbe decidere di garantire un diritto di reso oltre il termine previsto dalla legge; oppure potrebbe prevedere (sempre nell’ambito del diritto di reso) il riconoscimento di un buono di acquisto o di uno sconto.
Anche in questo contesto, l’uso appropriato dei termini "diritto di recesso" e "reso" è molto importante per evitare pratiche commerciali scorrette.
Utilizzare impropriamente il termine “reso” quando sussiste il diritto di recesso, costituisce un comportamento idoneo a celare al consumatore i propri diritti; egli potrebbe infatti ritenere di trovarsi in presenza di semplici facoltà attribuite dal sito di ecommerce, senza godere di alcun diritto di legge.
Il diritto di recesso esiste per tutti i prodotti?
Casi di esclusione
L’articolo 59 del Codice del Consumo indica per quali beni è escluso il diritto di recesso.
In particolare, tale diritto è escluso per la fornitura di beni:
(a) Confezionati su misura o chiaramente personalizzati.
(b) Che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente.
(c) Sigillati, che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna.
Con riferimento al sito preso come esempio in questo articolo, bisogna prendere in considerazione quanto previsto alla lettera (b); quindi, i beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente: i cosiddetti “beni deperibili”.
Beni deperibili: come individuarli
Purtroppo, non esiste una definizione legislativa ovvero giurisprudenziale di “bene deperibile”; pertanto, l’esclusione o meno del diritto di recesso dipende, di volta in volta, dalla natura del prodotto.
Di fatto, esiste un criterio per effettuare questa valutazione in base a parametri il più possibile oggettivi; si può prendere a riferimento il termine legislativo di 14 giorni di cui gode il consumatore per esercitare il diritto di recesso.
Pertanto, se il merchant ritiene che un bene deperisca entro questo termine, è ragionevole poter escludere nei suoi confronti il diritto di recesso; altrimenti il merchant subirebbe un ingiusto danno; ciò a fronte della restituzione da parte del consumatore di un bene che non può essere offerto nuovamente in vendita.
Se invece il prodotto presenta una scadenza superiore al termine di 14 giorni è corretto riconoscere al consumatore il diritto di recesso. In questa ipotesi, infatti, il merchant potrà sempre offrire nuovamente in vendita il prodotto restituito dal consumatore.
Nella categoria dei beni deperibili si possono comprendere i generi alimentari, freschi; ad esempio: latte, latticini, frutta e verdura, carne e pesce. Per essi, pertanto, è escluso il diritto di recesso.
Il cioccolato è tendenzialmente un bene non deperibile, in quanto presenta un periodo di conservazione superiore a 14 giorni; al riguardo, il mancato riconoscimento del diritto di recesso può integrare una pratica commerciale scorretta.
Il sito ecommerce che abbiamo preso come esempio esclude in blocco il diritto di recesso per tutti i prodotti offerti in vendita; e questo costituisce una evidente pratica commerciale scorretta.
Infatti, come abbiamo visto, sul piano normativo è scorretto negare a priori al consumatore il diritto di recesso per tutti i prodotti alimentari offerti in vendita; piuttosto, il merchant è tenuto ad effettuare un'analisi caso per caso, finalizzata ad accertare il livello di deperibilità del prodotto.
Come informare il consumatore in merito alla mancata esistenza del diritto di recesso?
In base all’articolo 49, comma I, lett. (m) del Codice del Consumo, il merchant che offra in vendita uno o più prodotti per i quali non è previsto il diritto di recesso è obbligato a darne comunicazione nelle Condizioni Generali di Vendita.
Le Condizioni Generali di Vendita, però, non rappresentano l’unico documento nel quale il merchant deve informare il consumatore in merito all’assenza del diritto di recesso.
Il consumatore potrebbe acquistare un bene per il quale non beneficerà del diritto di recesso senza aver prima letto le Condizioni Generali di Vendita; e pertanto, costituisce ormai una best practice comunicare l’assenza del diritto di recesso anche nella relativa scheda prodotto; vale a dire la pagina del sito dove vengono descritte le caratteristiche del bene offerto in vendita: prezzo, dimensioni, peso ecc.
Inoltre, posto che il merchant è obbligato ad inviare al consumatore l’email di conferma d’ordine, è opportuno prevedere l’informativa circa l’assenza del diritto di recesso anche in questa comunicazione.
Il sito immaginario che abbiamo ipotizzato per il nostro articolo informa il consumatore dell’assenza del diritto di recesso solamente nelle Condizioni Generali di Vendita; mentre, non ne fa menzione nella scheda prodotto, né nella email di conferma dell’ordine. Anche questa circostanza potrebbe essere riconosciuta come una pratica commerciale scorretta.
Quali sanzioni rischia un sito ecommerce che neghi al consumatore il diritto di recesso o che fornisca al riguardo errate informazioni?
La mancata o incompleta indicazione delle informazioni inerenti il diritto di recesso costituisce, come abbiamo visto, una pratica commerciale scorretta; questa comporta una sanzione amministrativa pecuniaria, ex art. 27, comma nono, del Codice del Consumo, da 5.000,00 euro a 500.000,00 euro.
Il rischio di sanzioni non è meramente teorico. Solo dall’inizio di quest’anno l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato multe per un totale pari ad euro 750.000,00. Ciò a fronte di comportamenti connessi ad errate informazioni sul diritto di recesso.
In conclusione, Ignorantia legis non excusat, ovvero la legge non ammette ignoranza, per dirla con una locuzione famosa. È vostro dovere essere al corrente delle leggi, così da evitare situazione spiacevoli e potenzialmente disastrose da un punto di vista finanziario.
NOTA BENE: Questo articolo è solo a scopo informativo e non ha valore di consulenza legale o professionale. Si prega di consultare un commercialista o avvalersi di una consulenza legale indipendente per informazioni specifiche relative alle vostre circostanze e al vostro paese di residenza. Shopify declina ogni responsabilità per l'utilizzo di queste informazioni.
Note sull’Autore Lorenzo Grassano (l.grassano@studiolegalegrassano.it) è titolare dello Studio Legale Grassano di Milano. Esperto di ecommerce e privacy law, assiste dal punto di vista legale siti e start-up italiani e stranieri. Da quando ha fondato LegalBlink, servizio di assistenza legale per web agency e merchant, acquista quasi tutto solo online.
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